Intervista a Rita Marcotulli e Antonio Zambrini

Pianoforti

Lo scorso 11 ottobre, al termine di un concerto intimo ed intenso tenutosi presso la showroom di Pianoforti Cerabino a Lecco, abbiamo avuto il piacere di intervistare i due straordinari musicisti protagonisti della serata: Rita Marcotulli e Antonio Zambrini.

La prima cosa che vorrei chiedervi è di descrivervi l’un l’altro, con tre aggettivi…

Marcotulli: suoniamo bene insieme perché abbiamo affinità. Vi dirò tre cose che penso di lui, ma nelle quali riconosco anche me. Amore per la melodia, apertura per la musica e grande empatia.

Zambrini: Penso che Rita sia un po’ come la sua musica: fresca, sorridente, energica.

Nel 2013 avete pubblicato “La conversazione”. Cosa è cambiato oggi nel vostro modo di conversare?

Marcotulli: Nella vita si va avanti, si cambia e la musica riflette questo cambiamento. Anche quando suoniamo i brani contenuti nell’album li modifichiamo estemporaneamente. Picasso diceva: “If you know exactly what you are going to do, what is the point of doing it?”

Zambrini: Il disco era abbastanza “pensato”, alcune soluzioni musicali erano basate su arrangiamenti articolati. In concerto invece improvvisiamo, a volte completamente. Il bello è che nonostante non ci siamo frequentati in questi anni, sul palco non abbiamo perso la fiducia reciproca.

Quali sono le storie che più vi ispirano?

Marcotulli: La musica è un linguaggio nel quale confluiscono tutte le emozioni e le esperienze della vita …le storie sono molteplici. L’ispirazione può essere un tramonto, un libro, un ritmo, un’armonia nuova, ascoltando musica …ma soprattutto le storie che si raccontano suonando con gli altri. L’alchimia che si crea è una magia incomparabile.

Zambrini: Tanti anni fa stavo studiando il modo frigio, ho composto un brano che subito ho chiamato “Studietto” e l’ho accantonato… Poi sono stato in Grecia in vacanza e in un locale ho sentito il sirtaki. Ho provato a mescolare questo ritmo con la mia melodia ed è nato il brano “Minotauro”. Questo per dire che dalla storia del jazz, che noi associamo a quella degli afroamericani, si può andare avanti.

Entrambi avete inciso per il cinema. Come è successo?

Marcotulli: Mio papà lavorava alla RCA, casa discografica americana che ha registrato musiche di Morricone, Rota, Trovajoli… Io di quello studio ho ricordi meravigliosi e in me è nata l’idea di scrivere per immagini. Ho dedicato anche un disco a Truffaut. Poi ho conosciuto Rocco Papaleo e ho fatto due film con lui. Era per entrambi la prima esperienza, io come compositrice e lui come regista, abbiamo avuto bellissime soddisfazioni, inaspettate vincendo Nastro d’Argento, Ciak d’Oro e il David di Donatello.

Zambrini: Una cara amica ha organizzato la proiezione presso la Cineteca di Milano della pellicola restaurata di un film del 1912 in cui recitava suo nonno, chiedendomi di musicarla dal vivo. Il curatore della cineteca apprezzò e mi chiese di rifarlo. È stato davvero un caso, ma poi non ho fatto altro per almeno 15 anni, anche girando il mondo. Sono felice perché mi ha tolto la paura che avevo di suonare da solo. E poi è divertente perché improvviso, ogni volta è diverso, parto da una nota qualunque e via.

Si dice che all’epoca di Bach tutti improvvisassero. Oggi però chi studia musica classica non ha la minima idea di come si improvvisi.

Marcotulli: Anche io arrivo dal conservatorio, dove la preparazione per un pianista classico è ottima: c’è cura del tocco, del suono, delle dinamiche, dell’interpretazione… ma non si analizza un brano armonicamente, non lo si studia a memoria partendo dalla sua struttura, ma aiutandosi con la diteggiatura, con la memoria visiva o con l’orecchio. Quando ho iniziato a studiare jazz, ho iniziato a comprendere meglio anche l’armonia della musica classica, sia le linee contrappuntistiche e orizzontali di Bach, sia quelle verticali e armoniche, fino al ’900. Sono convinta che i due percorsi di studio, classico e jazz, siano perfettamente complementari.

Zambrini: Rispetto ad una volta, quando solo chi studiava composizione si poneva i problemi della costruzione dei brani, ora vedo che anche in conservatorio gli allievi passano dal dipartimento di classica a quello di jazz con molta facilità. C’è però una categoria di musicisti classici che improvvisa ancora oggi, come ai tempi di Bach: gli organisti classici!

Avvertite un muro tra voi e i musicisti classici? O sono solo due modi diversi di interpretare la stessa realtà?

Marcotulli: sono indubbiamente due modi diversi. I musicisti di musica classica interpretano una musica scritta, i musicisti di jazz sono compositori istantanei.

 Quali dischi vi hanno colpito ultimamente?

Marcotulli: Ci sono tanti giovani jazzisti molto aperti mentalmente, uno che mi ha colpito particolarmente è Tigran Hamasyan, pianista armeno davvero originale, con bravura tecnica, armonica e tanto cuore. Ascolto anche artisti più pop, come Jacob Collier, gli Snarky Puppy.

Zambrini: in macchina ho due dischi di giovani che conosco personalmente e che hanno una grande apertura mentale e di genere. Uno è il progetto Dugong e gli altri sono I’m a fish. A casa invece da un mese non smetto di ascoltare i video del pianista armeno Vardan Ovsepian.

Cosa consigliereste a chi volesse intraprendere un percorso nella musica?

Marcotulli: Ascoltate più musica possibile e non precludetevi nessuna strada. Ai jazzisti in particolare, consiglio di ascoltare e studiare le improvvisazioni di altri strumentisti o di altri generi. Suonare con Pino Daniele per esempio è stata una grande scuola, anche se dovevo suonare in maniera misurata, tanto groove e poche note, ho imparato che less is more.

Zambrini: …e poi andate ai concerti, perché lì c’è un’energia che nessuno stereo vi darà mai. Vincete la pigrizia e uscite!

 

Chi sono – Enrico Bonfante Ciao! Dal 2008 mi occupo di prodotto e marketing in Yamaha Music Europe. Sono appassionato di musica jazz, viaggi, libri e buona cucina.

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