Il Festival di Sanremo: 70 anni di musica italiana

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Parlare del Festival di Sanremo è talmente semplice che dire qualcosa di originale è una delle cose più difficili da fare. Tutti hanno una loro opinione, proprio come sulla politica o sul modulo della propria squadra di calcio. E forse una delle cose più originali da fare sul Festival, visto che se ne parla sempre poco, è parlare delle canzoni e di musica.

 

Il Festival di Sanremo: dagli anni ’50 agli anni ’70

Tenendo presente che il Festival di Sanremo è geneticamente in ritardo nell’intercettare i fenomeni musicali ed i trend, è interessante comunque vedere come è cambiata la “nostra” musica negli anni. Negli anni ’50, mentre negli Stati Uniti esplodevano fenomeni musicali e culturali come il rock&roll ed un ragazzo di colore con una chitarra in mano di nome Chuck Berry faceva ballare anche i giovani rampolli bianchi, a Sanremo abbiamo ancora cantanti crooner e tenorili come Claudio Villa e Johnny Dorelli, Domenico Modugno, e donne rassicuranti che cantano un’Italia che forse già non c’è più: Grazie dei Fiori, Vola Colomba, Aprite le Finestre, Piove e Nel Blu Dipinto di Blu. Le sonorità sono ancora quelle orchestrali e particolarmente classiche che derivano dall’operetta italiana, dallo swing anni ‘30 e dalle canzonette popolari. Una fusione che vede testi spesso un po’ naif associati ad arrangiamenti orchestrali di pregevole fattura.

Devono arrivare gli anni ’60 per iniziare a sentire gli influssi americani arrivare al Festival di Sanremo, ma tutto è smussato ed ammorbidito dalla convinzione che il più grande show televisivo nazionale debba essere più pedagogico e istituzionale che un reale riflesso dei moti rivoluzionari che facevano bollire il Paese fuori dalle porte dell’Ariston. Quindi vediamo l’arrivo degli urlatori, che con voci e stile influenzati dall’R&B e dal rock, si prestano a canzoni ancora legate al nazional popolare desiderio di ritmi e melodie rassicuranti. Iva Zanicchi, Bobby Solo, Tony Renis contrapposti alle ragazze della porta accanto Gigliola Cinquetti e Betty Curtis. Le canzoni rimangono su melodie ampie ed i ritmi e le sonorità non decollano almeno fino al 1970 quando un certo Adriano Celentano irrompe sulla scena con “Chi Non Lavora Non Fa L’Amore”.

Sono gli anni ’70, quando Elvis era già sul viale del tramonto, i Beatles si scioglievano, la gloriosa Chess Records chiudeva i battenti e negli USA compariva già la disco ed il rock in risposta si faceva sempre più duro e pesante. A Sanremo arriva qualche influenza del decennio precedente ed i ritmi rock e swing più movimentati fanno breccia. Oltre a Celentano gruppi come i Matia Bazar e gli Homo Sapiens portano le sonorità britanniche e americane a contaminare la musica italiana. Le chitarre elettriche trovano maggiore spazio e la batteria in quattro quarti che occhieggia all’easy rock anglosassone. Le band sono un trend ed il classico complesso con basso e chitarre, batteria, tastiere/synth e voce ha un certo successo anche sul palco dell’Ariston.
Ma sono anche gli anni delle vittorie multiple di Nicola Di Bari e Peppino di Capri che rappresentano la tradizione ed allo stesso tempo lo scollamento con la musica che fuori si evolveva velocemente.

 

Il Festival di Sanremo degli anni ’80 e ’90

Gli anni ’80 saranno anni contraddittori per il Festival di Sanremo, sono gli anni della ripresa ma anche gli anni del semi-playback, dell’eliminazione dell’orchestra, dei primi presentatori showman, del Premio della Critica e degli ospiti di lusso. A parte un giovane Ramazzotti nel 1986, tutti gli altri vincitori ritirano a Sanremo una specie di premio alla carriera. Ma le sonorità cambiano più rapidamente, grazie anche alla consapevolezza che l’orchestra classica non basta più, e approda sul palco più famoso d’Italia anche l’elettronica, che viene dosata prima e poi forse anche un po’ abusata. Mentre nel mondo l’heavy metal e la musica elettronica dominano, anche al Festival arrivano timidamente distorsioni e groove più incalzanti.
A canzoni dal piglio sempre molto andante come Maledetta Primavera (Loretta Goggi), Se m’innamoro (Ricchi e Poveri), Perdere l’amore (Massimo Ranieri), e Ci sarà (Al Bano e Romina), si contrappongono brani più moderni come Per Elisa (Alice), Adesso Tu (Eros Ramazzotti), Si Può Dare Di Più (Morandi, Tozzi, Ruggeri) e Ti Lascerò (Oxa, Leali).

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Fonte: Archivio Storico del Corriere della Sera

Gli anni ’90 rappresentano una nuova separazione tra i trend musicali globali e la musica italiana, se non per una certa onda pop che favorirà le vittorie e piazzamenti alti di nuovi artisti che hanno successo ancora oggi come Giorgia e Laura Pausini o Irene Grandi. Ci saranno le strane eccezioni degli inspiegabili Jalisse, il classicone rock-pop di Ruggeri “Mistero” ed i classici di Ron e Tosca, Cocciante e Barbarossa.
Il rock anni ’90 verrà un po’ edulcorato dalle orchestrazioni pop sanremesi, mentre il movimento grunge o i primi passi dell’hip-hop italiano non verranno per nulla intercettati.

 

Il Festival di Sanremo dal 2000 ai giorni nostri

Gli anni 2000 si aprono con l’anomalia jazz della Piccola Orchestra Avion Travel e poi lanceranno la metaforfosi italiana di Elisa, ci sarà un tardo tentativo di prendere il pubblico della dance con Alexia e la riabilitazione di Marco Masini, ma vedranno anche il definitivo battesimo pop di Renga e l’inizio dell’era dei cantanti da talent. I generi ormai si mischiano senza sosta e senza nemmeno troppo criterio, in un pot-pourri multi-colore che rimane per lo più sulla stessa onda pop, talvolta screziata di soft-rock dei secondi anni ’90. Portano un po’ di novità nelle sonorità e nelle ritmiche Simone Cristicchi, Alex Britti e Fabrizio Moro. Sono gli anni in cui però l’orchestra di Sanremo torna al suo massimo splendore, fondendo con grande maestria classico e moderno.

Ed arriviamo ai giorni nostri, con la prosecuzione del trend dei talent show, che forniscono a Sanremo molti vincitori e partecipanti come Marco Carta, Valerio Scanu, Emma Marrone, Marco Mengoni, Il Volo, Francesca Michielin, Giovanni Caccamo, Annalisa e Noemi. Forse proprio per questo la voce torna particolare protagonista all’Ariston, ed inizia arrivare qualche contaminazione hip-hop che vedrà il suo definitivo sdoganamento con la vittoria di Mahmood e la partecipazione di Achille Lauro al Festival del 2019. Le sonorità ibride si sprecano, tanto che non è raro vedere una canzone folk in gara subito dopo il dance pop di Gabbani, un jazzista-pop come Gualazzi spaziare nel rock con i The Bloody Beetroots che cercano di omaggiare la transizione rock di Miles Davis, oppure le sperimentazioni pazze di Elio e Le Storie Tese accanto al rock zuccheroso dei Modà.

Ora non ci resta che aspettare la 70° edizione e scoprire quale direzione musicale ha preso il Festival di Sanremo di quest’anno!

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